28 giugno 2023
Signore e signori, Gentili autorità, ospiti, colleghi, dirigenti, associati e collaboratori del Gruppo imprese artigiane,
Vi rivolgo un caloroso saluto e ringraziamento per aver voluto partecipare alla nostra assemblea annuale. Ringraziamo anche l’Università di Parma che ci ospita in questa bella struttura, lo CSAC, una perla culturale del nostro territorio che va sempre più valorizzata. Tanti temi meriterebbero di essere trattati oggi, com’è stato fatto nelle assemblee delle altre associazioni imprenditoriali svoltesi di recente, ma non abuserò del vostro tempo, anche considerando l’interesse della tavola rotonda che si terrà dopo questa mia relazione.
Mi concentrerò perciò solo su tre temi che sono stati affrontati in questo anno sociale dall’associazione, perché ritenuti di grande interesse per i nostri imprenditori. Il clima in cui teniamo quest’assemblea non è quello di estrema preoccupazione e pessimismo, com’è stato purtroppo in un passato anche recente, al di là che questo termine non è nel nostro vocabolario. In effetti l’Italia vede un momento di sviluppo, l’export “tira”, le aziende lavorano, anzi cercano professionalità e maestranze che trovano con difficoltà. Questo in particolare, ma non solo, in alcuni settori precedentemente in crisi come quelli legati all’edilizia, rivitalizzata con le politiche dei “bonus”. Infatti su questa lunghezza d’onda sarà il confronto che terremo da qui a poco. Tuttavia, le preoccupazioni non mancano: la guerra in Europa, e non solo, perché i conflitti nel mondo sono tanti, che sembrano ricondurre ad uno scontro globale tra Occidente e soggetti emergenti, le non ancora del tutto risolte conseguenze della pandemia in Cina, l’inflazione, con le sue diverse cause, in parallelo con l’aumento del costo del denaro, le sfide della transizione energetica e ambientale, che possono mettere in crisi alcuni specifici nostri settori produttivi ma li influenza tutti, la fragilità delle catene logistiche e di approvigionamento. Su questo non mi dilungo, abbiamo tutti ben presente questo quadro di ombre oltre che di luci.
L’associazione, naturalmente, continua a offrire agli associati i suoi servizi “ordinari”, che spesso in realtà sono “straordinari”, perché mille diverse tra loro sono le problematiche che si trovano ad affrontare quotidianamente. In particolare, sulle complessità di avere a che fare con le varie articolazioni dello Stato, non mi dilungo. Ma nella sua funzione politica in senso lato, il GIA si è concentrato su alcune tematiche, ritenute prioritarie oggi e in prospettiva. Devo ringraziare su questo alcuni dirigenti e nostri funzionari, che non nomino uno per uno, ma il cui impegno è stato e continuerà ad essere prezioso.
Un primo fronte è ancora (dico ancora perché lo è stato sempre negli ultimi anni) è quello della legalità. Al di là di considerazioni etiche che coinvolgono tutti, le varie forme di illegalità nelle attività economiche creano le condizioni per la concorrenza sleale, e in particolare qui a Parma per l’inquinamento di alcune tra le nostre filiere. Un costo del lavoro artificialmente basso, magari accoppiato a stipendi non così bassi, essendo parzialmente in nero, o qualcosa del genere, costringe le aziende corrette a lavorare con margini risicati o nulli, dove tutto è sacrificato alla sopravvivenza più che al profitto, con l’effetto di destrutturarle, renderle deboli, qualche volta costringendole a chiudere, o a cedere ad altri, magari alla criminalità economica stessa. Tuttavia, queste distorsioni proliferano anche perché il costo del lavoro in Italia è troppo alto, a causa di una politica fiscale che preferisce tassare appunto il lavoro piuttosto che altri redditi.
Anche noi qui, come le altre categorie imprenditoriali, facciamo un encomio alle autorità civili e militari che si impegnano in questa battaglia, e che stanno facendo un lavoro efficace, e duro, per la repressione di fenomeni che però andrebbero prevenuti. Come del resto vale per il tema dell’ordine pubblico, laddove la microcriminalità e la stessa mancanza di decoro impoveriscono il contesto dove le aziende operano, che non è l’ultimo fattore del loro successo o insuccesso.
Un secondo fronte è quello della transizione verso una maggiore sostenibilità energetica ed ambientale, che fa il paio con quello dell’innovazione. Uno dei maggiori elementi che spinge le aziende a innovare, infatti, è proprio quello di ridurre l’impatto ambientale dei propri processi e prodotti. Non ci stanchiamo di dire, per quanto dovrebbe essere scontato, che questo ineludibile processo deve però accompagnarsi al mantenimento, anzi, al miglioramento, della sostenibilità economica e sociale del sistema, in senso lato, e in particolare, quella delle aziende, e dei loro lavoratori. Su questo impegno, tra l’altro, crediamo di potere contare anche nelle nostre controparti sindacali, ciascuno col proprio ruolo. Per esemplificare i problemi che così si affacciano, faccio un’analogia col tema annoso ma non superato dell’arretratezza del Meridione d’Italia.
Se l’obiettivo è uno sviluppo equilibrato per il Paese, ma diciamo anche per l’Europa, non possiamo accettare condizioni che in pratica favoriscono lo sviluppo solo di una parte del territorio. Non servono le “medie di Trilussa” a chi non è messo in condizione di poter mangiare la sua metà del pollo. Storicamente negli ultimi settant’anni si è visto che le politiche e gli investimenti hanno aiutato chi, ovviamente con grande impegno personale e collettivo, aveva strumenti per farne buon uso. Ma chi è rimasto indietro, è spesso andato più indietro, anche se non mancano le eccezioni, che non fanno la regola. A chi è svantaggiato non serve che noi facciamo presente che lo sviluppo del nostro Paese in media ha favorito tutti. Perciò è normale la conseguenza che territori e ceti rimasti arretrati, alla lunga, si organizzino politicamente per chiedere non più sviluppo, ma assistenza, col risultato oggettivo, per quanto non voluto, di rallentare tutti, se non farli tornare indietro. Ingenti spese del settore pubblico che pesano in termini fiscali sui settori produttivi per portare spesso a poco risultato. A fronte di quest’analogia, proviamo a riportare questo schema sul tema energetico ambientale, che può portare a diseguaglianze inaccettabili, se non avrà tempi e modalità ragionevoli. Faccio un’altra analogia tra l’attuale transizione “ecologica” e la rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra e nel Nord Europa circa tre secoli fa.
Oggi molti tendono a dire che ogni cambiamento ha sfavorito alcuni, ma nel complesso ha favorito tutti. Ogni trasformazione tecnologica alla fine avrebbe creato più lavoro, e migliori, di quello che ha distrutto. Ritengo che queste considerazioni, in realtà un po’ ciniche, rappresentino in parte un luogo comune da ridiscutere.
Le trasformazioni, se non guidate con saggezza, infatti, hanno creato più benessere e lavoro in alcuni territori, marginalizzandone gravemente altri, con un risultato se va bene a somma zero. Al di là del fenomeno migratorio, anche nello stesso luogo hanno favorito diseguaglianze anche gravi. Una ulteriore considerazione: in una prima fase, durata in Italia fino a circa trent’anni fa, chi è stato meno favorito dallo sviluppo si organizzato in una militanza di contrapposizione al capitalismo che era a suo modo anche una proposta alternativa. Ideologia che si è dimostrata inefficace, sbagliata, ha avuto conseguenze drammatiche, ed è finita in un crollo. Da allora, chi è o si ritiene marginale nella società si è schierato progressivamente e prevalentemente su una posizione di “ribellismo senza causa”, per parafrasare il titolo inglese del film che da noi si intitola “Gioventù bruciata”. Tale io considero, in senso lato e non strettamente politico, il populismo, del resto trasversale alla politica tradizionale. Questo sentimento anti-sistema non è e mai sarà vicino al mondo dell’impresa, vista come espressione di privilegio, non è capace di concepirne un’alternativa. Per questo la piccola e media impresa, e l’artigianato, davanti alle difficoltà, rifuggono la tentazione del ribellismo, che è senza sbocchi, ma è una tentazione in qualche caso comprensibile.
La transizione verso un mondo più sostenibile è assimilabile ad una nuova rivoluzione industriale e, come se non bastasse, si accompagna ad una sempre più pervasiva trasformazione digitale. Essa non sarà senza conseguenze, come la è stata quella industriale nelle sue successive “reincarnazioni”, e queste conseguenze non devono essere sottovalutate, nascoste, accettate implicitamente come inevitabili. Non sento di allinearmi all’ottimismo “cosmico” di molti a questo riguardo. A parte il fatto che oggi la sostenibilità è anche il campo di azione dei furbi che si vestono di verde, ma dentro restano uguali nella ricerca di un profitto facile, che non è la nostra storia di PMI ed artigiani. Perciò tempi e modi di questo cambiamento devono adattarsi ai vincoli di una società civile che vuole restare tale, possibilmente, nella sua interezza, e, pur di mantenere uno stile di vita che ritiene adeguato, se si sente minacciata, cambierà col voto, come accade nelle democrazie, il senso delle politiche europee, italiane e locali, contrastando, o almeno rallentando una transizione che è necessaria, mentre alcune aree andranno avanti determinando poi un vantaggio competitivo incolmabile.
E dentro a questa dinamica c’è anche il mondo delle imprese.
Non costringiamo perciò le PMI e gli artigiani all’angolo, perché noi siamo disposti, anzi quasi entusiasti, di fare la nostra parte, ma non al costo di andare verso l’irrilevanza e in prospettiva all’estinzione. E non è solo questione di aiuti da parte dello Stato, anche perché siamo consapevoli che le finanze pubbliche sono tali da sostenere più promesse che fatti concreti, il grosso lo dovremo comunque fare noi di tasca nostra. Ho visto per esempio di recente bandi che partono da un investimento minimo di 50.000 Euro, cifre al di là delle possibilità di molte delle nostre aziende, secondo la logica del “piove sul bagnato”. In ogni caso, l’associazione è qui oggi per accompagnare le aziende in questa sfida, nei loro percorsi di innovazione e transizione energetica e ambientale.
In continuità con tutto questo vengo al terzo tema, brevemente, perché sarà molto meglio discusso nella tavola rotonda in una delle sue accezioni. Noi dobbiamo trovare le nostre vie per l’innovazione, come del resto abbiamo sempre fatto, ma in un contesto più difficile, anche perché più accelerato. Ecco quindi quella per reperire personale adeguato a reggere queste sfide, in un contesto demografico e culturale che non aiuta. Non certo secondario tra gli altri, il grande tema della formazione, e della formazione continua, e anche di persone con un certa anzianità aziendale, che riguarda i nostri lavoratori, ma anche gli imprenditori stessi. La tavola rotonda di oggi tratta un aspetto di questo argomento, che nasce dal fatto che, per ragioni demografiche di lungo periodo, e anche semplicemente per l’andamento positivo del mercato del lavoro nel Nord Italia, è necessario richiamare lavoratori da altre aree non solo del nostro Paese, ma dall’estero.
Non ultimo, ciò dà opportunità a chi comunque, fuori da ogni pianificazione, è arrivato in Italia per costruire la propria crescita col lavoro. Se da una parte l’innovazione verrà trainata da chi sarà formato per esserne protagonista, dall’altra le aziende non vivono solo di attività di punta, ma hanno bisogno del contributo, se vogliamo più modesto, di tanti altri, il cui ruolo non sarà “rubato” tutto dalle macchine o dall’intelligenza artificiale. La formazione peraltro non è solo quella strettamente professionale, perché il lavoratore deve progressivamente integrarsi come cittadino del territorio, se non vogliamo creare più problemi di quelli che risolviamo. Abbiamo qui in Marco Bentivogli un esperto tra quelli con più visione in Italia su questo fronte, e abbiamo due imprenditrici, che ringraziamo per la loro disponibilità, a portare le loro esperienze, in un caso in termini aziendali, nell’altro anche questo, ma soprattutto in quanto presidente del nostro ente di formazione, con un’ottica che quindi complementa questo quadro.
Chiudo sottolineando che queste occasioni non sono vetrine, ma uno dei servizi che fa l’associazione, e senza corpi intermedi gli individui, gli imprenditori in questo caso, da soli, difficilmente arrivano al risultato, o ci arrivano con molta più difficoltà. Questo vale tanto più quanto le sfide sono impegnative, dunque sono valide oggi più che mai.
Vi ringrazio della vostra presenza e dell’attenzione.
Il Presidente Giuseppe Iotti
VIDEO TRASMESSO DURANTE L’ASSEMBLEA SUL TEMA IMMIGRAZIONE, FORMAZIONE, LAVORO, OCCUPAZIONE
RASSEGNA STAMPA
Gazzettadiparma.it – Immigrazione, formazione, lavoro, occupazione: assemblea Gia – Videointervista, Iotti: “Imprese, bene. Ma mancano le maestranze“
Gazzetta di Parma Formazione e lavoro le Pmi sostengono l’integrazione