Revoca del licenziamento valida se inviata entro quindici giorni. Corte di Cassazione

21 giugno 2024

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Per provocare «l’effetto ripristinatorio» del rapporto di lavoro mediante la revoca del licenziamento irrogato, è sufficiente che nel termine di quindici giorni previsto dall’articolo 18, comma 10, dello Statuto dei lavoratori Legge 300/1970 – e decorrente dalla comunicazione al datore dell’impugnazione del licenziamento medesimo – si perfezioni il «mero invio» della revoca al dipendente, e non anche la ricezione da parte di quest’ultimo. Lo ha affermato la Corte di cassazione, con ordinanza 16630/2024, in relazione al caso di una lavoratrice licenziata dapprima per giustificato motivo oggettivo e poi, a seguito della revoca del licenziamento e del ripristino ex tunc del rapporto di lavoro, per giusta causa in quanto si era assentata dal lavoro per oltre tre giorni.

La Corte di merito, confermando la sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda di impugnazione dei due licenziamenti promossa dalla lavoratrice e basata sull’asserita intempestività della revoca del primo licenziamento, inviata dalla società datrice di lavoro il quindicesimo giorno successivo alla ricezione dell’impugnazione del recesso ma ricevuta dalla lavoratrice soltanto il sedicesimo giorno. In particolare la Corte, ritenendo applicabile alla revoca del licenziamento «il principio di scissione degli effetti dell’atto», aveva escluso che si fosse verificata la decadenza dalla possibilità di revocare il provvedimento di recesso già disposto, dovendosi avere riguardo alla sola data di invio della revoca. La decisione veniva quindi impugnata dalla lavoratrice dinnanzi alla Suprema Corte, sulla base della ritenuta riconducibilità dell’istituto della revoca del licenziamento alla categoria degli atti recettizi a forma libera, non soggetti alla “scissione del termine di invio da quello di ricezione”.

La Corte di cassazione, prima di affrontare la questione di diritto, ricorda che, prima dell’entrata in vigore dell’articolo 18, comma 10, dello statuto dei lavoratori, si riteneva che la revoca costituisse una proposta indirizzata al lavoratore e, per essere efficace, richiedeva l’accettazione da parte di quest’ultimo. Soltanto con la legge 92/2012, che ha introdotto la versione ora vigente dell’articolo 18, comma 10, la natura giuridica della revoca è stata identificata in quella di «diritto potestativo del datore di lavoro cui soggiace il lavoratore».

Ciò premesso e ferma oggi la non necessarietà di una manifestazione di volontà da parte del lavoratore ai fini del ripristino del rapporto di lavoro, occorre stabilire se il termine massimo di quindici giorni sia stato inteso dal legislatore come mero termine di invio della revoca o anche di ricezione di quest’ultima da parte del lavoratore. La Cassazione richiama un proprio precedente secondo cui «qualora ad una parte risulti conferito, dalla legge o da fonte pattizia, un diritto potestativo, l’esercizio di tale diritto produce la modificazione immediata della sfera giuridica del destinatario», dovendo eventuali limitazioni all’esercizio del potere «essere specificamente stabilite dalla legge o dalla stessa fonte contrattuale attributiva del potere». Ne consegue che il dato testuale dell’articolo 18, comma 10, dello statuto dei lavoratori, non prevedendo limitazioni all’esercizio del potere di revoca del licenziamento, induce a «ritenere sufficiente il mero invio della revoca al lavoratore nel termine prescritto e non anche la ricezione da parte dello stesso nel medesimo termine».

Fonte: Sole24Ore


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